Tante mamme in dolce attesa scelgono di sottoporsi alla cardiotocografia, è un esame non invasivo utile per capire come stia il feto.
È importante non vivere il momento della gravidanza come una malattia, non lo è assolutamente, anche se è certamente importante cercare di non fare sforzi eccessivi, a maggior ragione se si è ricevuto un suggerimento a riguardo da parte del medico. Altrettanto fondamentale non può che essere sottoporsi a controlli periodici così da avere la garanzia che mamma e bambino siano in buona salute. Questo passa attraverso un’ecografia da eseguire almeno con cadenza mensile, a cui possono essere poi affiancati altri esami più precisi che garantiscono di avere maggiori certezze su come stia evolvendo la situazione.
Molte donne possono essere restie all’idea di fare alcuni test che possono risultare invasivi, nonostante possano rivelarsi utili, fortunatamente ci sono delle alternative che non lo sono e che possono essere altrettanto provvidenziali. È il caso della cardiotocografia, nome che pochi potrebbero conoscere ma che può essere consigliato in tanti casi.
Che cos’è la cardiotocografia e perché è utile
Avere la certezza che il feto stia bene è ovviamente determinante per una mamma, risolvere i dubbi a riguardo già prima della nascita non è impossibile grazie ad alcuni esami che possono rivelarsi davvero determinanti. Diverse donne scelgono di eseguire la cardiotocografia – dal greco tokos, nascita, e graphein, scrivere, esame pensato per monitorare la frequenza fetale del nascituro e le contrazioni uterine grazie un’apparecchiatura chiamata cardiotocografo, costituita da un box centrale e da due sonde poste sul ventre materno. La prima è un rilevatore ad ultrasuoni del battito cardiaco (è collegato nel punto in cui la percezione dell’attività del cuore è più alta), la seconda comprende invece un misuratore meccanico delle contrazioni uterine e si posiziona in fondo all’utero.
Il test in genere è previsto in prossimità del parto (a partire dalla 38a settimana di gestazione) ed è di routine, basta infatti recarsi in ambulatorio per farlo. Nella maggior parte dei casi si preferisce farlo per rilevare eventuali contrazioni uterine preparatorie e controllare se il battito fetale sia normale. Entrambe le sonde vengono fissate all’addome materno attraverso delle fasce elastiche, così che gli strumenti possano captare le contrazioni uterine e la frequenza cardiaca fetale.
Si tratta di un tipo di diagnostica che è indolore e che richiede un tempo che va da 30 minuti a un’ora. I segnali che vengono registrati vengono poi trasmessi a un monitor, che li trasformerà in un tracciato, fondamentale per i medici per avere un quadro della situazione.
A volte può essere però richiesta anche prima della 37esima settimana di gestazione, ma solo se si verificano condizioni particolari, che possono rendere necessario un monitoraggio preciso e precoce. È il caso di diabete gestazionale, ipertensione materna, sospetta preeclampsia, patologie materne cardiache, sospetto di parto pretermine, ritardo di crescita intrauterino, diagnosi o sospetto di malformazioni fetali. Ancora adesso si devono però riconoscere alcuni limiti tipici della cardiotocografia, spesso si verificano infatti casi di falsi positivi, può essere quindi il rischio che i feti siano considerati falsamente a rischio. Se affiancata ad altri esami può comunque essere efficace, da sola però a volte può servire a poco.